Wonder Boys / Michael Chabon

2002 (c) Rizzoli - p. 359

La storia in breve:

Ne succedono di tutti i colori, tanto che mi è difficile farne un quadro preciso... Grady Tripp, docente e scrittore, non si fa mancare niente: la terza moglie lo abbandona, rifugiandosi presso la famiglia adottiva durante la pasqua ebraica; l’amante, concausa della fuga suddetta, aspetta un figlio e Grady continua a non azzeccare una frase che sia una nei suoi confronti; uno strano allievo, particolarmente dotato nel mentire, lo accompagna nel suo girovagare, mentre Grady passa dallo sventare un eventuale suicidio alla morte del cane del marito della sua amante; il suo migliore amico, nonché editor in trepidante attesa del nuovo romanzo, s’innamora dell’allievo suddetto; una bella allieva è inquilina presso il suo appartamento; il finale del suo manoscritto Wonder Boys di 2600 pagine continua a non essere un finale; l’indifferenza verso la propria salute nel ricorrere a droghe ed alcool; il bagagliaio dell’auto che finisce con il raccogliere gli oggetti più disparati ed inverosimili ...

N.B. non mi ricordo se (e come) il film con Michael Douglas fosse fedele al romanzo.

Commento:

Un romanzo dove prevale il gusto di raccontare le particolari vicende che accadono ad un antieroe. Indeciso, fragile, egocentrico, il nostro protagonista ha un pensiero brillante che non va di pari passo con le azioni e le scelte dell’immediato. L’autore si è sicuramente divertito nell’escogitare le più curiose cause che possono stravolgere la vita di un personaggio solo apparentemente scialbo. Il tono sarcastico e caustico, l’invenzione di molti personaggi a tutto tondo ed i dialoghi sono le armi vincenti per non annoiare il lettore e per farsi perdonare un finale all’acqua di rosa.

Stralci:

Era stato durante quel corso di studi che, per la prima volta, mi ero chiesto se gli autori di romanzi non soffrissero di una sorta di disordine mentale, cui già allora, ricordando l’incessante dondolarsi notturno di Albert Vecht, pensavo come al male di mezzanotte. Una insonnia emotiva, che dà alla vittima, in ogni momento di percezione cosciente – anche se mentre scrive è l’alba o metà pomeriggio -, la sensazione di essere distesa in una camera da letto soffocante, con la finestra spalancata su un cielo pieno di stelle e di aeroplani, ad ascoltare il racconto di una persiana che sbatte, la sirena di un’ambulanza, le ali di una mosca intrappolata in una bottiglia di Coca Cola, quando tutt’intorno gli altri sono profondamente addormentati.

[pag. 26]

Stavo disteso sul fianco e guardavo l’intricato merletto di ferro sopra le nostre teste. Vedevo Sara, sola su una fragile canoa, mentre andava alla deriva, sempre più vicina alla ruggente, brumosa cateratta della maternità, convinta che io fossi lì, dietro di lei, a remare incessantemente. Cercai di esplorare i miei sentimenti, un’attività mai molto diversa dal cercare un topo morto in uno spazio sotto la casa dove a stento sarebbe passato un ragno. Mi sgomentai constatare quante speranze, dopo essere stata esposta per cinque anni agli instabili isotopi del mio amore, Sara Gaskell riponesse ancora in me.

[pag. 159]

Quando ci eravamo conosciuti bevevo spesso, ma da molti anni non mi vedeva piangere e, soprattutto, non davanti ad altri. Devo aggiungere che anche in quel momento non era che mi fossi sciolto in lacrime, con accompagnamento di singhiozzi pucciniani. Non ero in grado di dispiegare se non il più trito dolore maschile, soffocato, quasi silente, con un po’ di umidore attorno agli occhi, come quando si reprime uno sbadiglio.

[pag. 326]